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Fuga dei cervelli: le storie di successo dei giovani italiani Copenhagen
ROMA, 1 aprile – L’Italia non è un Paese per giovani. Prosegue l’emorragia di ragazzi che lasciano la Penisola e vanno all’estero in cerca di condizioni di vita e di lavoro migliori. Secondo gli ultimi dati Istat, le emigrazioni tricolore sono state ben 156mila nel 2024, con un trend in crescita del 36,5% rispetto all’anno prima. E il fenomeno riguarda soprattutto gli under 40. “Mentre l’Italia continua a confrontarsi con la fuga dei cervelli e l’immobilismo dei bamboccioni, un gruppo di giovani laureati alla Copenhagen Business School mostra come questa ‘fuga’ possa diventare una via concreta per costruire un futuro migliore; con competenza e ambizione, hanno scelto la Danimarca per costruire una carriera solida e gratificante e una vita lontani dalle incertezze italiane”, scrive in una lettera aperta Fabio Di Felice, ricercatore dell’Ingv e membro della segreteria del sindacato Fgu-Anpri. Di Felice è padre di uno di questi ragazzi e aggiunge: “Le storie di Matteo D. (RM), Matteo I. (RA), Vincenzo P. (BO), Tommaso R. (MO), Leonardo N. (RM), Francesca C. (MB), Giorgia P. (PD), Melissa P. (PD), Chiara C. (CS), Federica M. (AP), Giorgia S. (TO), Ivana C. (AG), Irene F. (MI), Francesca G. (MI), Sofia Stella B. (BO), Alberto T. (BS), Cecilia A. (AN), Arianna S. (BO), Laura E. (PD), Beatrice N. (PD), Francesco C. (PA) e Luca B. C. (VE) sono un esempio di come impegno e dedizione possano costruire un futuro professionale certo. Con un salario medio di circa € 70mila lordi annui, questi ragazzi lavorano in settori come i servizi farmaceutici, l’investimento, la logistica marina, la consulenza e i servizi di pagamento digitale, riuscendo a vivere serenamente e beneficiando di un sistema di welfare che in Italia resta solo un’aspirazione”. “In Danimarca, il merito è valorizzato, e il supporto statale e sociale permette loro di emanciparsi, garantendo una carriera fondata sulle proprie competenze. In Italia, invece, la prospettiva più probabile per molti neolaureati come loro sarebbe stata quella di stage sottopagati, senza contributi né futuro certo. Un percorso umiliante – aggiunge – dove, anziché mettere a frutto anni di studio, ci si può ritrovare a fare fotocopie o a portare il caffè al ‘capo’ o al professore con cui si collabora, in attesa di un’opportunità che forse non arriverà mai”. “Li ho visti cucinarsi il loro piatto di pasta, usare la moka per un buon caffè, stirarsi il vestito per il colloquio di lavoro, fare i turni per le pulizie, passare da una lingua all’altra, scambiarsi i piatti tipici, prendere l’aereo come io prendevo il treno, convivere e adattarsi ai tanti usi e costumi incontrati: di fatto sono i figli dell’Europa. Ma in Danimarca hanno potuto firmare contratti (lavoro, casa, etc) e fare spese importanti senza la base solida familiare che li aveva tutelati fino a poco prima: in Danimarca sono cresciuti con la consapevolezza che l’impegno, in presenza di regole certe, avrebbe dato i suoi frutti senza sorprese. Queste storie sono un campanello d’allarme per un’Italia che non può più permettersi di perdere le sue menti più brillanti e volenterose e che deve agire con determinazione, investendo in istruzione, ricerca e innovazione per creare un sistema capace di attrarre, trattenere e valorizzare i talenti. Così, mentre esportiamo cervelli, importiamo braccia, con flussi migratori dal Sud del mondo che alimentano forza lavoro per mansioni meno qualificate. È una sfida che richiede l’impegno di tutti – istituzioni, imprese e cittadini – affinché il Paese possa rilanciarsi e garantire un futuro migliore alle nuove generazioni”, conclude Di Felice, firmandosi “un papà, anzi il papà di tutti questi ragazzi”.