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ENTI PUBBLICI DI RICERCA: LEVE STRATEGICHE PER L’INNOVAZIONE DEL PAESE

Intervista ad Eleuterio Spiriti, Responsabile nazionale del Dipartimento Ricerca della Federazione Gilda Unams.

A cura di Mara Passafiume.

Gli Enti pubblici di Ricerca italiani rappresentano un sistema, spesso sconosciuto ai più, che riveste un’importanza cruciale. Essi, infatti, svolgono un ruolo fondamentale nel sostenere i processi di innovazione e nel fornire dati e ricerche che possono aiutare il decisore politico nell’individuazione e nel perseguimento di obiettivi strategici per la crescita del nostro Paese.

Ne discutiamo con Eleuterio Spiriti, Responsabile nazionale del Dipartimento Ricerca Fgu.

Il sistema degli Enti pubblici di Ricerca, che ha caratteristiche e necessità oggettivamente molto diverse da quelle della Scuola, è collocato all’interno dell’ampio comparto Istruzione e Ricerca. Sappiamo bene che questo per voi è un problema concreto, perché non è questa l’organizzazione migliore per rispondere alle esigenze dell’ex comparto della Ricerca.

Purtroppo, al di là della abnorme differenza fra il numero di addetti della Scuola rispetto all’insieme degli altri tre settori del comparto, che rappresenta di per sé un chiaro problema di priorità quando si deve discutere e sottoscrivere un unico contratto, vi è anche una chiara e profonda differenza fra le diverse realtà, sia dal punto di vista degli obiettivi che i diversi settori perseguono che delle esigenze professionali specifiche per ognuno di essi.

Gli Enti pubblici di Ricerca perseguono l’obiettivo prioritario della Ricerca in stretta collaborazione, e questo è un punto essenziale da sottolineare, con il mondo universitario; tale collaborazione è fondamentale per la funzionalità complessiva del sistema. Il perseguimento ottimale di questo obiettivo necessita di autonomia e responsabilità nella definizione sia dei progetti di Ricerca che della loro esecuzione, così come è indispensabile un alto livello di flessibilità pronta a nuove forme organizzative necessarie per l’attività di Ricerca che evolve, per sua stessa natura, in tempi assolutamente molto più rapidi che in altri settori. Tutti elementi non presenti nel settore Scuola e che impongono esigenze specifiche nella definizione contrattuale del rapporto di lavoro per questo tipo di personale.

Tali problematiche sono chiaramente emerse nelle lunghe trattative svoltesi presso l’Aran – quando abbiamo dovuto affrontare la definizione dell’unico contratto per il comparto – e  portano alla conclusione che sia più che opportuno giungere ad una definizione normativa che consenta la sottoscrizione di due contratti di lavoro separati nell’ambito dello stesso comparto “Istruzione e Ricerca”, il primo per la Scuola ed il secondo per la parte rimanente del comparto,  con l’obiettivo di semplificare e rendere più efficienti ed efficaci le necessarie trattative contrattuali.

L’ordinamento professionale degli Enti di Ricerca risale ad oltre trenta anni fa, dunque deve necessariamente essere aggiornato. Il lavoro di riscrittura che state facendo con l’Aran si protrae ormai da anni ma senza successo: quali sono, a suo avviso, le motivazioni di tale insuccesso e qual è la vostra posizione in proposito?

L’ordinamento professionale è, come ovvio, un elemento essenziale per l’organizzazione del lavoro, ma in questo caso ha un’importanza ancora più accentuata perché può, se non opportunamente implementato, intaccare diritti e prerogative addirittura di livello costituzionale quali la libertà di Ricerca.

Negli Enti di Ricerca esistono due principali sottogruppi del personale: il personale tecnico amministrativo, al quale si richiedono particolari competenze e flessibilità organizzative per supportare le attività di Ricerca – sia in maniera diretta nei gruppi di Ricerca che attraverso tutte le attività di supporto, amministrative e non – e poi il personale ricercatore e tecnologo, per il quale possono sussistere le problematiche inerenti alla libertà di Ricerca citata in precedenza.

Parlando di ordinamento, inoltre, non si può non ricordare la Carta Europea dei Ricercatori ( https://eur-lex.europa.eu/eli/reco/2005/251/oj )

e il “Towards a European Framework for Research Careers”
https://euraxess.ec.europa.eu/sites/default/files/policy_library/towards_a_european_framework_for_research_careers_final.pdf ).

Il primo dei due documenti circa la stabilità e continuità dell’impiego recita: “I datori di lavoro e/o i finanziatori dovrebbero garantire che le prestazioni dei ricercatori non risentano dell’instabilità dei contratti di lavoro e dovrebbero pertanto impegnarsi nella misura del possibile a migliorare la stabilità delle condizioni di lavoro dei ricercatori, attuando e rispettando le condizioni stabilite nella direttiva 1999/70/CE del Consiglio”. Tali esigenze, come più e più volte abbiamo sottolineato negli innumerevoli incontri all’Aran, non possono essere compiutamente soddisfatte attraverso degli interventi ordinamentali nel testo del contratto collettivo di lavoro ma richiedono degli interventi normativi con cui definire il quadro dei principi, all’interno del quale costruire attraverso la trattativa contrattuale tutti i dettagli della implementazione pratica quali i possibili avanzamenti di carriera, le loro modalità e tutte le considerazioni di tipo economico connesse. In sostanza, i principi che salvaguardano la specificità della professione definiti per legge e le questioni più squisitamente economiche/finanziarie definite dal contratto.

Il sistema della Ricerca pubblica è distribuito in venti differenti Enti, vigilati da sei diversi Ministeri e dalla Presidenza del Consiglio. Questa ampia eterogeneità nella funzione di vigilanza è una potenziale sorgente di difficoltà?

Assolutamente sì: nessun altro settore della pubblica amministrazione è così eterogeneo, sia dal punto di vista delle materie affrontate che, ovviamente, degli organi politici che ne devono – per forza di cose – essere responsabili.

La questione è come si salvaguardano le metodologie comuni all’attività di Ricerca – il metodo scientifico è il punto di partenza – dal punto di vista organizzativo e, in particolare, della gestione del personale. Inoltre, non va sottaciuto quello che è il punto dirimente: i finanziamenti di queste diverse realtà. Uno dei problemi fondamentali è la cronica insufficienza dei fondi, per cui gli Enti hanno un livello di finanziamento ordinario che a malapena copre i costi fissi e non possono quindi fare nessuna politica della Ricerca, anzi a volte sono addirittura costretti a finanziare le spese fisse attraverso parte dei fondi di Ricerca ottenuti da bandi competitivi.

Nella recentissima riunione del 4 giugno scorso, il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge recante deleghe che riguarda anche la Ricerca. Cosa può dirci in merito?

Il provvedimento è il classico provvedimento di semplificazione periodicamente fatto dai vari Governi e volto in particolare a misure per la semplificazione normativa e il miglioramento della qualità della normazione e deleghe al Governo per la semplificazione, il riordino e il riassetto in determinate materie. Anche il settore degli Enti pubblici sarà ricompreso nella delega che il Governo richiederà al Parlamento.

Le classiche indiscrezioni di stampa indicano che la delega richiesta dal Governo, in particolare in materia di formazione e Ricerca, è molto ampia e potrebbe riguardare interventi anche molto incisivi. Siamo ovviamente molto preoccupati, anche se non ci spaventano le novità. Ma sicuramente auspichiamo che sia il Parlamento, con tutti gli approfondimenti necessari nelle varie commissioni parlamentari, che il Governo, nella fase preparatoria del disegno di legge delega, diano il necessario ascolto alle parti sociali, ovvero alle varie sigle sindacali rappresentative nel settore affinché possano portare il loro contributo costruttivo. Abbiamo più volte portato numerose proposte all’attenzione dei parlamentari, dei vari esponenti politici ed anche degli uffici legislativi dei ministeri coinvolti, sempre pronti con la massima disponibilità a discuterne e confrontarci. Non vorremmo dover assistere all’ennesima riforma che finisce per risultare – nel migliore dei casi – non risolutiva dei problemi, se non addirittura dannosa.

 

M.P.

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